CAPPELLO INTRODUTTIVO AGLI INTERVENTI DI FRANCO BALDINI SUL TRATTAMENTO PSICANALITICO CONDOTTO DA LAICI di Silvana Dalto

Premettiamo alcune note a tre articoli di Franco Baldini intorno alla questione della «psicanalisi praticata da laici» qui sotto riportati e pubblicati anche all’interno del volume 2021/1 di Metapsychologica .

Gli analisti laici sono tradizionalmente parte della storia della psicanalisi; essi hanno costituito ai tempi di Freud una presenza massiccia e variegata, seppure minoritaria, che ha dato contributi molto importanti alla psicanalisi. La Scuola di Psicanalisi Freudiana (SPF) si situa in continuità con la presenza di allora.

Ciò che favorì l’esistenza e l’affermazione dei laici in seno al movimento psicanalitico fu il fatto che Freud diede al trattamento analitico una funzione in cui l’aspetto psicoterapeutico aveva un ruolo del tutto accessorio; nonostante il fatto che il successo della psicanalisi agli esordi sia dipeso proprio dalle guarigioni numerose e stabili che essa fu in grado di produrre, Freud si rese conto molto presto dell’impossibilità di ridurre la psicanalisi a una psicoterapia, come risulta dagli articoli di Baldini che seguono. Freud invece vedeva in essa uno strumento conoscitivo potente della vita psichica dell’uomo.

Contro l’intento di Freud, la storia della psicanalisi post-freudiana si è invece caratterizzata per una riduzione della psicanalisi a psicoterapia, vuoi per volontà delle maggiori associazioni psicanalitiche internazionali, vuoi per la pressione esercitata soprattutto dall’istituzione psichiatrica americana. È infatti negli Stati Uniti, dove molti analisti trovarono scampo per sfuggire alle leggi razziali, che subito dopo la seconda guerra mondiale inizia la deriva professionalistica in senso sanitario della psicanalisi che diventa una super-specializzazione psichiatrica, con uno statuto decisamente psicoterapeutico e con scopi di adattamento sociale.

Questo differente orientamento della pratica si accompagna con un parallelo processo di erosione progressiva dell’eredità teorica freudiana. Gli psicanalisti americani elaborano le loro teorie, evidentemente costruite solo per scopi di terapia e di adattamento sociale; i concetti fondamentali subiscono modificazioni sostanziali e il complesso della dottrina ne risulta alterato; nonostante questo essa continua a definirsi psicanalisi. Questa disastrosa pratica ha portato via via all’esistenza di una molteplicità teratologica di posizioni teoriche, le più disparate, tanto che oggi si può dire, come afferma Baldini, che esistono le psicanalisi e non più la psicanalisi: teorie e pratiche assolutamente contraddittorie le une in rapporto alle altre; col passar del tempo anche i nemici sono diventati amici, in un guazzabuglio che non scandalizza più nessuno! Lacaniani, junghiani, adleriani insieme ad anna-freudiani, sullivaniani, kohuttiani, kleiniani: tutti dentro a chiamarsi psicanalisti. Cosa che risulta del tutto evidente nel libro Lezioni sul pensiero post-freudiano di E. Mangini, il quale registra il degrado delle correnti post-freudiane e delle teorie da esse prodotte (Mangini, 2019). Vi è dunque la necessità di far ritornare nella psicanalisi il pensiero di Freud e la sua impronta razionalistica, per comprendere appieno il senso e gli scopi del trattamento psicanalitico.

La Risposta alla Memoria sulla «psicanalisi laica» dei proff. Dazzi e Lingiardi di F. Baldini, il primo dei tre articoli che presentiamo, mette in evidenza l’infondatezza delle obiezioni di legittimità mosse da Dazzi e Lingiardi relativamente alle posizioni della SPF e mostra anche l’ampia prospettiva nella quale si situa la questione pratica del trattamento all’interno della psicanalisi freudiana.

Il problema è: qual è l’obiettivo del trattamento analitico? Possono esserlo il miglioramento dello stato di salute o la guarigione del paziente? Poiché in psicanalisi il miglioramento delle condizioni psichiche di un paziente può rivelarsi il portato di una situazione di transfert, per questa ragione proprio il miglioramento, che è ciò che qualunque psicoterapeuta si augurerebbe di più, per lo psicanalista invece è un processo psichico da sottoporre a indagine, per capire se esso derivi da una resistenza e quindi sia al servizio della rimozione. Al contrario, un peggioramento può intervenire come manifestazione di un rifiuto che il paziente oppone a una costruzione che l’analista gli prospetta su un aspetto rimosso della sua vita psichica. Da questo rifiuto l’analista arguisce che il peggioramento può essere dipeso proprio dal contenuto veritiero della costruzione ed esigerà un’indagine ulteriore delle condizioni che hanno spinto il paziente a disconoscere quel contenuto. Come si vede da questi due casi, l’obiettivo della conoscenza dei processi psichici inconsci è talmente primario per l’analista freudiano da costringerlo a cercare di distruggere l’effetto psicoterapeutico, come nel caso del miglioramento, o a dare importanza a un peggioramento per la verità che potrebbe veicolare.

Ora, se il trattamento psicanalitico ha innanzitutto uno scopo conoscitivo, diventa chiaro il motivo per cui Freud non ha mai avuto preclusioni rispetto alla possibilità della pratica della psicanalisi da parte di laici: un analista laico ha esattamente gli stessi obiettivi di un analista accidentalmente laureato in medicina, ed è tenuto a conseguirli esattamente nello stesso modo.

In realtà, proprio pronunciandosi sull’analisi laica, Freud, come è noto, rovescerà l’impostazione del problema dicendo che il medico non ha proprio alcun vantaggio sul laico nel praticare la psicanalisi. Di fronte a una nevrosi il medico non è meglio equipaggiato: ad esempio di fronte al carattere variabile della rappresentazione della «malattia» nell’isteria, oppure al repentino variare dello stato morboso in relazione al transfert, o anche al fatto che l’aspettativa terapeutica dell’analista possa influenzare l’espressione psichica della malattia del paziente. Aspetti insidiosi, che rafforzano il convincimento di Freud che queste manifestazioni della complessità dello psichico esigano dall’analista solo e niente di più che un intento conoscitivo.

In tal modo per il medico il transfert è un elemento spurio rispetto alla malattia, un fastidio da togliere al più presto, mentre per lo psicanalista esso è sì una resistenza nel processo conoscitivo, ma anche una modalità di espressione della stessa patologia, e quindi da considerare attentamente e comprendere. Mentre un medico deve ammettere chiunque alle sue cure, un analista è invece tenuto a non accettare chiunque, perché può accettare solo chi esprima un intento conoscitivo rispetto all’analisi che dice di voler intraprendere. Inoltre l’idea che soltanto una sofferenza psichica espressa come domanda di guarigione sia in grado di sostenere il paziente nel lungo e faticoso lavoro che un’analisi richiede non è altro che un rozzo pregiudizio: che la sofferenza psichica si esprima univocamente come domanda di guarigione è falsificato dal fatto che ogni patologia psiconevrotica è effetto di un conflitto, quindi esprime tanto il desiderio di liberarsi dalla sintomatologia quanto di conservarla. Ciò che fa la differenza ed è in grado di condizionare la riuscita o meno di un’analisi, è quel desiderio di verità, di conoscenza oggettiva, che per questa ragione costituisce l’elemento indispensabile alla sua intrapresa.

Infine, per indicare come l’analista debba astenersi dall’assumere la terapia come scopo, notiamo che sta all’analizzante decidere di assumere la verità che gli è stata rivelata, ed eventualmente godere degli effetti benefici di questa esperienza. Infatti, una volta trovata la verità, non deve riguardare l’analista che cosa l’analizzante ne faccia, perché quello che egli ne farà sarà soltanto un problema relativo alle sue scelte etiche. L’analista è uno scienziato naturale: il suo dominio è la sfera della natura e non la sfera della libertà. Egli condivide con l’analizzante questa condizione e la condivide fin dal momento in cui s’instaura il rapporto analitico, poiché la decisione di avviare l’analisi da parte dell’analista è, come abbiamo detto, subordinata al fatto che anche l’analizzante esprima lo stesso scopo di verità.

Tutte queste differenze mettono chiaramente in luce il proposito conoscitivo del trattamento analitico, rispetto a quello del trattamento medico che è terapeutico. Freud è stato sempre molto esplicito sul fatto che la psicanalisi fosse una scienza totalmente autonoma dalla medicina, fino a giungere a sconsigliarne la pratica ai medici stessi, proprio per l’orientamento forzatamente terapeutico che poteva essere pregiudizievole nell’approccio analitico.

Per Freud è la verità che conta in analisi, l’oggettività del processo conoscitivo. L’analista deve essere sicuro che i risultati che ottiene provengano dalle co- struzioni che propone al paziente e non da elementi spuri, come, ad esempio, un proprio desiderio inconscio di influenzare il paziente ad accoglierle, perché questo minerebbe tutta la costruzione della psicanalisi. Ma per questo non basta la buona volontà o l’onestà dell’analista, belle virtù che però non garantiscono nessuna scientificità; occorre un metodo di controllo.

Quello che fa la differenza è che l’approccio psicoterapeutico non può distinguere, nelle cause che concorrono al miglioramento, la parte che vi ha la suggestione del medico, tanto che, al limite, la suggestione potrebbe essere l’unica causa di miglioramento. Teniamo anche conto che tutte le psicoterapie, siano esse a indirizzo psicodinamico o cognitivo-comportamentale o altro, si avvalgono in modo più o meno consapevole di pratiche suggestive e tentano poi di giustificare – quelle che hanno velleità epistemologiche – il loro operato appoggiandosi ai metodi extra-clinici della medicina (doppio cieco, studi randomizzati, gruppi di controllo e calcoli statistici su tali studi); ma il metodo extra-clinico va bene in medicina o in farmacologia mentre in psicologia è del tutto insufficiente perché non riesce a isolare il fenomeno della suggestione, come ha dimostrato F. Baldini nell’articolo Nuove considerazioni sul metodo psicanalitico freudiano e in generale sull’architettura empirico-razionale della metapsicologia (Baldini, 2020). In questo articolo Baldini formula un protocollo logico-sperimentale per il controllo delle ipotesi cliniche, oltre ad alcune implicazioni anche di carattere gnoseologico. Questa me- todologia di controllo è inoltre sostenuta da argomentazioni logiche molto profonde, come sottolinea M. V. Ceschi nel suo articolo Riflessioni epistemologiche su alcuni aspetti del metodo freudiano (Ceschi, 2020). Si tratta di un metodo intraclinico, che Baldini ha ricostruito a partire da alcune indicazioni sparse dello stesso Freud al riguardo, che consente di validare le ipotesi teoriche che via via l’analista formula lungo l’analisi, attraverso un procedimento logico di falsificazione volto a riconoscere e isolare l’eventuale elemento suggestivo proveniente dall’analista, che inficerebbe il processo conoscitivo. Questo metodo, alla cui osservanza ogni analista è tenuto, considera del tutto irrilevante ai fini conoscitivi proprio il miglioramento terapeutico in quanto lo psicanalista è tenuto a vedere in esso la possibilità della suggestione, quindi la necessità di un’ulteriore applicazione della procedura metodologica piuttosto che la soluzione del problema.

L’esistenza di questo metodo sperimentale è la controprova chiara che l’obiettivo della psicanalisi è l’oggettività delle costruzioni: devono essere proprio le costruzioni vere (e, tra l’altro, niente affatto vaghe, ma molto specifiche) le cause dei miglioramenti che si ottengono. Non c’è dunque possibilità di equivoco sullo statuto scientifico e non psicoterapeutico-sanitario della psicanalisi freudiana.

Sottolineiamo inoltre che gli effetti terapeutici in psicanalisi non vengono perseguiti come scopo dell’analisi, bensì possono derivare dal procedimento di ricerca della verità come effetto supplementare non ricercato in se stesso; la verità infatti, nell’esperienza umana, quando si diano le condizioni per la sua accettazione, ha sempre effetti benefici.

Abbandoniamo dunque la medicina al suo destino, in quanto la psicanalisi può fare da sola, e volgiamo invece lo sguardo verso la psicologia nei cui ranghi, secon- do un’interpretazione distorta della legge, dovrebbe trovare la sua formazione lo psicanalista, se non è medico. Qui la situazione è penosa. Se la medicina ha dalla sua la nobiltà della scienza sperimentale, per ciò che riguarda la psicologia, nessuna delle circa 400 psicoterapie psicologiche è in grado di oggettivare i risultati della propria pratica. Quindi la psicanalisi deve ancora una volta correre da sola, perché essa soltanto dispone di un effettivo metodo di controllo degli effetti clinici.

Ci soffermiamo invece sull’autonomia della psicanalisi dalla psicologia accademica, perché su questo ci sono alcune considerazioni da fare, non di ordine clinico-metodologico, bensì di ordine gnoseologico.

Freud, come abbiamo detto, ha inteso creare una scienza dell’inconscio psichico autonoma: l’autonomia della psicanalisi dalla psicologia per Freud è un fatto, in quanto la psicologia all’epoca era poco più che un ramo, per giunta poco strutturato, della filosofia; dice Freud nel 1932:

Queste nuove esperienze [Bernheim, Charcot, Breuer] recavano infatti la certezza che i pazienti da noi chiamati «nervosi» soffrivano in un certo senso di disturbi psichici, e che perciò andavano trattati con metodi psichici. Il nostro interesse andava rivolto alla psicologia. Ciò che poteva offrire la scienza psicologica dominante nelle scuole filosofiche dell’e- poca era evidentemente ben povera cosa, e non trovavamo nulla che potesse servire ai no- stri scopi; ci toccava inventare ex novo sia i nostri metodi sia i nostri presupposti teorici.

Il motivo per cui Freud non ha inteso la psicanalisi come un capitolo della psicologia è perché la psicologia è psicologia della coscienza, per la quale è impossibile risolvere anche il più piccolo dei problemi che si erano imposti all’attenzione di Freud. La psicanalisi non è un capitolo della psicologia; è semmai vero il contrario, ossia che la psicanalisi dovrebbe costituire la fondazione della psicologia ed è questo che Freud aveva in mente.

Freud è partito da una centralità della vita psichica inconscia; la coscienza per Freud non è che una parte della vita psichica, quella che si è modificata per effetto dell’influenza del mondo esterno; ma la vita psichica in se stessa è inconscia e inconoscibile.
La prospettiva trascendentale che Franco Baldini ha largamente dispiegato come prospettiva gnoseologica della psicanalisi è costruita per dare luogo alla vita psichica inconscia. In analisi noi non abbiamo accesso diretto ai processi psichici inconsci; vengono formulate delle ipotesi teoriche su alcune dinamiche che il processo analitico evidenzia; queste ipotesi vengono sottoposte al controllo del metodo sperimentale freudiano e infine saranno accolte solo quelle che avranno superato tale esame.

Vi è dunque una giunzione stretta tra metodologia e costruzione nella scienza psicanalitica. Poiché ogni disciplina ha il compito di costruire un corpus di teorie e concetti di base consistente, il metodo di controllo è fondamentale per determinare quali ipotesi abbiano superato la prova della falsificazione e quali no; infatti, a partire dalla prova di falsificazione delle costruzioni analitiche che il metodo di controllo costituisce, è possibile pervenire alla corroborazione di alcune ipotesi teoriche contenute nelle costruzioni e a delle generalizzazioni a partire da queste ipotesi, così da ampliare, proprio a partire dalla clinica, la base concettuale e teorica della psicanalisi. In tal modo le ipotesi teoriche relative a ogni singola esperienza di analisi diventano un possibile tassello nel processo di costruzione della nuova scienza psicanalitica. Non diversamente dall’esperimento per il chimico o il biologo. Quindi ogni singola analisi è un dispositivo conoscitivo e non una psicoterapia. Con questo è assolutamente chiaro che la psicanalisi è stata costituita da Freud come la fondazione della psicologia e non viceversa.

L’articolazione che abbiamo condotto fin qui, seguendo l’elaborazione di Baldini, vuole mostrare l’autonomia scientifica della psicanalisi, fatto che non per- mette alla psicanalisi di sottostare ai principi della psicoterapia i quali le sono totalmente estranei.

Ora, se la psicanalisi correttamente intesa ha un compito conoscitivo, non si è mai sentito di un giudice che abbia voluto agitare la sua sferza quando il rapporto fra analista e analizzante sia imperniato su questa comune esigenza. Se invece si trattano in maniera ambigua psicanalisi e psicoterapia e – rinunciando a ogni pretesa di rigore scientifico – si tratta la psicanalisi come una procedura volta alla guarigione da qualcosa, allora si entra nel campo della psicoterapia, con l’obbligo tassativo di aver conseguito la formazione richiesta.
Come appare dai due articoli di Baldini, Una nota sopra una malintesa sentenza della Cassazione e Una lunga serie di errori e una condanna, non è affatto vero che la condanna di uno psicanalista per abuso di professione da parte di un tribunale implichi il divieto per i laici di praticare la psicanalisi; infatti la Suprema Corte ha emesso una sentenza non sulle idee, non sul fatto che le due analiste si professassero laiche, bensì su un abuso in senso psicoterapeutico della loro pratica di psicanaliste; Baldini sottolinea chiaramente che non è possibile in queste cose tenere un piede in due scarpe: uno psicanalista dovrebbe spiegare chiaramente al proprio paziente che tipo di indagine sia la psicanalisi, dichiarando apertamente la finalità del proprio operare, ossia che l’intento del suo trattamento non è psicoterapeutico, bensì ha lo scopo di far emergere la verità di un processo inconscio, in modo che il postulante possa sentirsi libero di scegliere tra un approccio o un altro. Così evidentemente non è stato fatto. Il giudice, ripeto, non ha sanzionato le idee della psicanalisi laica, e le psicanaliste non sono state ritenute colpevoli in quanto laiche, semmai proprio per una valutazione forse superficiale della legge Ossicini e dei suoi contenuti. In tal modo, le sentenze dei giudici non risultano affatto estendersi alla psicanalisi dei laici, che restano liberi di operare, in quanto non rientrano nell’ambito di giurisdizione della legge, come si desume chiaramente dal testo delle sentenze. È dunque stata una scelta ben consapevole quella della SPF di non aderire alla legge Ossicini: proprio per restare fedele alla psicanalisi freudiana e alle sue finalità occorreva non entrare nell’ambito giurisdizionale della legge. Del resto lo stesso Freud, in tutta la sua preveggenza, era del tutto favorevole al fatto che la psicanalisi rimanesse un ambito disciplinare libero da quei regolamenti che potessero condizionare troppo presto il suo sviluppo, le sue modalità di svolgimento e quindi il suo stabilizzarsi come disciplina scientifica; la psicanalisi è una scienza molto giovane, con problemi teorici e pratici molto sfidanti per i ricercatori e ha bisogno di crescere in modo indipendente.
Il problema della «psicanalisi dei laici» sembra oggi far parte della cattiva coscienza di molti psicanalisti: nessuno ne parla volentieri, perché parlarne significa riportare a galla il fatto che la psicanalisi è stata svenduta per qualche libbra di benefici che la legge ha garantito o per qualche cattedra universitaria.

La SPF, che ha sempre avuto sulla questione una posizione limpida e che non ha contribuito a questo commercio, ritiene invece di dover ritornare sul tema per ricordare agli analisti smemorati che richiamarsi formalmente alla psicanalisi laica, ma poi nei fatti praticare la psicoterapia, senza avere i titoli che la legge richiede, dimostra da un lato una mancanza di cognizione di quel che fanno e dall’altro noncuranza del disdoro che tale atteggiamento reca all’immagine sociale della psicanalisi, in particolare della psicanalisi dei laici che sostengono grottescamente di difendere.

Estratto dal contributo Cappello introduttivo agli interventi di Franco Baldini sul trattamento psicanalitico condotto da laici di Silvana Dalto pubblicato sul volume 2021/1 di Metapsychologica – rivista di psicanalisi freudiana.

Bibliografia

    • Baldini, F. (2020). Nuove considerazioni sul metodo psicanalitico freudiano e in generale sull’architettura empirico-razionale della metapsicologia. Metapsychologica – Rivista di psicanalisi freudiana, 2020/1, 5–38.
    • Ceschi, M. V. (2020). Riflessioni epistemologiche su alcuni aspetti del metodo freudiano. Metapsychologica – Rivista di psicanalisi freudiana, 2020/1, 39– 72.
    • Dalto, S., & Gardenghi, E. (Cur.). (2000). Freud e la psicanalisi laica. Thélema Edizioni.
    • Freud, S. (1932). I miei rapporti con Josef Popper-Lynkeus, OSF XI.
    • Mangini, E. (Cur.). (2019). Lezioni sul pensiero post-freudiano. LED Edizioni Universitarie di Lettere Economia Diritto.

RISPOSTA ALLA MEMORIA SULLA “PSICANALISI LAICA” DEI PROFF. DAZZI E LINGIARDI

A fine dicembre 2016 siamo venuti del tutto casualmente a conoscenza di uno scritto intitolato Memoria sulla “psicanalisi laica” a firma dei proff. Nino Dazzi e Vittorio Lingiardi, presente sul sito web dell’Ordine degli Psicologi, redatto su carta intestata del suo Consiglio Nazionale e datato 29 gennaio 2009.

Tale documento è rimasto riservato fino al 3 dicembre 2015, data in cui è stato reso pubblico.

In esso gli autori indirizzano una serie di maldestre critiche alle tesi su cui la Scuola di Psicanalisi Freudiana (SPF) fonda la propria esistenza, la propria collocazione e il proprio operato.

Qui la nostra risposta.

UNA NOTA SOPRA UNA MALINTESA SENTENZA DELLA CASSAZIONE
Appendice alla Risposta alla «Memoria sulla “psicanalisi laica”» dei proff. Dazzi e Lingiardi

La Scuola di Psicanalisi Freudiana (SPF) prende posizione in merito alla sentenza della Corte di Cassazione n. 144408 dell’11 aprile 2011 relativa all’abuso della professione di psicoterapeuta.

UNA LUNGA SERIE DI ERRORI E UNA CONDANNA
Sopra una nuova sentenza della Cassazione

La Scuola di Psicanalisi Freudiana (SPF) prende posizione in merito alla sentenza della Corte di Cassazione n.13556 depositata il 4 maggio 2020 relativa all’abuso della professione di psicoterapeuta.